Un viaggio virtuale a bordo dell’icosaedro volante

CableRobot

Laboratorio Max Planck, nella città di Tubingia, Baden-Württemberg centrale: sospesa in un hangar da 200 metri cubi, la cavia umana da laboratorio siede sul più comodo dei seggiolini forniti di cintura di sicurezza a quattro punti, la classica “bretella” usata nelle auto da corsa. Sul suo volto campeggia un visore per immagini stereoscopiche, modificato ai fini dell’esperimento tramite l’inclusione di alcune antenne sulla parte frontale, ciascuna sormontata da una sensore sferico per gli infrarossi; grazie ad essi, il computer potrà fornire delle immagini perfettamente calibrate in base ai movimenti del collo, della testa….Soprattutto, della speciale piattaforma sopra cui si trova la ragazza in questione: il CableRobot Simulator. Un’astronave letterale, oppure la figura geometrica creata da un qualche abile stregone matematico, in grado di sostenere facilmente il peso di un individuo adulto, mentre oscilla liberamente all’interno di uno spazio definito, tramite l’impiego di sei cavi ad alto potenziale, ciascuno collegato ad un potente mulinello. Un parallelepipedo senza finestre, che tuttavia può diventare, grazie all’impiego della moderna computer graphic, la vertiginosa curva degli anelli di Saturno, il fondo degli oceani, oppure l’orizzonte degli eventi di un enorme buco nero. Non ci sono limiti alla fantasia. Il problema, piuttosto, è convincere l’oggettività di ciò che giunge fino ai recettori del cervello; tutti, nessuno escluso.
La vista è un senso fondamentale nella guida di un qualsivoglia veicolo, estremamente sviluppato nei buoni piloti. Ma si dice pure, a torto o a ragione, che quelli davvero ottimi non si affidino poi tanto ai punti di riferimento esterni al velivolo, quanto al senso d’accelerazione che deriva dai sommovimenti del sistema vestibolare, sito all’interno dell’orecchio umano. Come una sorta di sesto senso. Sarebbe questa una definizione fondata sulla realtà, o il mero veicolo di un senso d’appartenenza, che si fonda su ciò che “non può essere insegnato, né simulato”? Difficile da dimostrare l’una o l’altra ipotesi, per il semplice fatto che la concorrenza tra gli stimoli opera nel mondo dell’inconscio, ovvero ciò che l’individuo stesso interpreta per dare fondamento al proprio ego. Mentre la scienza vera, da che è stata reinventata alle soglie del XVII secolo, ha preso una fruttuosa via che si basa sulla pura e inscindibile oggettività, quando possibile, altrimenti sulla statistica a campione. E sembrava impossibile, fino a poco tempo fa, ricreare le condizioni di un’estrema esplorazione dell’ambiente siderale in un contesto attentamente calibrato, sempre uguale a se stesso ed utile ad interrogare un alto numero di persone, il più possibile diverse tra di loro. Finché al Prof. Dr. Heinrich H. Bülthoff, capo di un gruppo di ricerca sulla percezione, cognizione ed azione umana, non è venuta l’idea di questo meccanismo, che ponendo i propri ingombranti motori al di fuori dello spazio soggetto al movimento, per un totale di 467 cavalli applicati ad una singola gondola creata in tubi di fibra di carbonio, può essere mossa con estrema precisione, oppure lanciata nel quasi perfetto equivalente sensoriale di una folle montagna russa. Il che, unito ai moderni strumenti di elaborazione in tempo reale delle immagini, permette di fare un significativo passo avanti non soltanto nella tecnica applicata, ma anche nella ricerca scientifica più pura sul cervello umano. Le applicazioni di quanto creato da questo istituto specializzato in biologia cybernetica, parte di una vasta associazione internazionale con oltre 17.000 dipendenti e la sede a Monaco di Baviera, sono relativamente remote, ma già stanno dando i loro frutti: si potrà ad esempio giungere ad una migliore diagnosi dei disturbi medici che causano disorientamento spaziale, attraverso la creazione di uno standard medio delle doti del nostro cervello, tutt’ora inesistente. E se anche nel perseguire un tale nobile scopo, tramite la concessione di brevetti o l’ispirazione diretta di un qualche abile ingegnere, dovesse nascere un’attrazione da parco giochi oppure due, noi futuri utenti saremo di certo gli ultimi, a lamentarci!

Il progetto, sviluppato negli ultimi due anni da una squadra dedicata di otto persone, con il supporto ingegneristico della fabbrica Mercedes-Benz di Sindelfingen e l’Istituto di Motori ed Ingegneria Automobilistica (FKFS) della vicina Università di Stoccarda, non è che l’ultima meraviglia prodotta da una delle più prolifiche istituzioni scientifiche al mondo, fondata e finanziata dal governo tedesco. Il concetto di un gruppo insigne di menti creative al servizio del bene della nazione tedesca trovò sfogo per la prima volta nel 1911, con la fondazione della Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft (G.=Società) denominata in base all’imperatore di allora, trovando tra i suoi membri insigni un trent’enne Albert Einstein, che ne sarebbe in breve tempo diventato il direttore, rimanendo in carica fino al 1932. Nel 1948, superato l’immediato dopoguerra, la KWG venne rinominata in onore di Max Planck, il fondatore della fisica quantistica ed ex-direttore che era venuto a mancare giusto l’anno prima, alla veneranda età di 89 anni. In questa nuova guisa, la Gesellschaft iniziò a collaborare direttamente con le università statali, istituendo dei distaccamenti disseminati sul territorio dapprima nazionale, poi una in una buona parte del mondo occidentale, giungendo a rivaleggiare per prestigio grandi nomi come quelli di Harvard o del MIT statunitense. Il che, considerata la sua forma fluida e decentrata ad oggi in più di 80 istituti differenti, risulta ancora più notevole e altamente significativo.  La Max Planck è presente anche in Italia, a Roma nella Bibliotheca Hertziana di Palazzo Zuccari e nel Kunsthistorisches Institut di Firenze, in entrambi i casi con divisioni specializzate nella ricerca storica e dell’arte. Ma l’impiego principale delle notevoli risorse finanziarie a disposizione della società, provenienti dall’erario tedesco e da frequenti donazioni private, è sempre rimasto nel campo della fisica applicata, dove mantiene un primato che ben pochi possono riuscire a superare. Di fronte ai grandi misteri dell’universo, persino le sperimentazioni di biocibernetica dell’istituto di Tubingia diventano un mero diversivo. Ma così meraviglioso e affascinante…

CyberMotion
L’intera storia d’utilizzo del CyberMotion può essere ricostruita da questo articolo della rivista Jove, fornito di un ulteriore video piuttosto esaustivo.

Dell’effettivo impiego e funzionamento del nuovo CableRobot, presentato al pubblico soltanto lo scorso 3 settembre, sappiamo ancora molto poco, mentre già esistono esaurienti fonti sull’ultima significativa creazione del Prof. Dott. Bülthoff, il qui presente Cybermotion Simulator. Un altra complessa macchina utile alla riproduzione sistematica dei movimenti, basata su una versione modificata del sistema di montagne russe KUKA Robocoaster. L’aspetto è quello di un singolo braccio robotizzato a sei assi montato su di un breve tratto di rotaie, in grado quindi di mettere in scena una complessa serie di rotazioni e traslazioni. Inutile dire che all’estremità del dispositivo è stato posto un seggiolino con cabina di comando, oltre ad uno schermo LCD, poi sostituito dal più sofisticato visore per la realtà virtuale, poi l’insolito sistema a proiezioni stereoscopiche mostrato nel video a corredo. Gli esperimenti sono stati molteplici, ma quello citato in modo più completo su Internet è consistito nel mettere delle persone a bordo del congegno, quindi far cooperare immagini e movimenti indotti per creare l’illusione praticamente perfetta di stare vagando nello spazio cosmico, di fronte a delle “stelle” di riferimento. Le cavie erano state inoltre dotate di cuffie a cancellazione del rumore, affinché i ronzii prodotti dai motori del Cybermotion non fornissero degli indizi su quanto era stato effettivamente sperimentato. Al termine dell’esperienza, ciascuno doveva quindi riprodurre, tramite un joystick posto di fronte allo schermo, la maniera in cui sentiva di essersi spostato. Si è così scoperto come, con assoluta continuità tra i diversi partecipanti all’esperimento, si tendesse a sopravvalutare il moto angolare lungo l’asse orizzontale, sottovalutando invece quello verticale. Potrebbe sembrare un dettaglio poco significativo, ma lo diventa subito quando si pensa come, nei quasi quattro secoli da cui esiste la scienza moderna, tale dato non fosse mai stato provato in modo inconfutabile, perché risultava impossibile farlo senza un tale complicato meccanismo. La prova costituisce quindi un piccolo, ma estremamente significativo passo avanti per l’umanità. E non lo sono forse tutti?

Panolab Projection
Il simulatore di volo del PanoLab, dimostrato sempre sul canale YouTube del Max Planck Institute, costituiva un approccio meno sofisticato alla risoluzione del problema: un sistema semi-sferico con 6 diversi proiettori, in grado di ricreare l’esperienza di pilotare un elicottero o un aereo.

CableRobot, CyberMotion: sistemi dall’ingente costo produttivo, concepiti per approcciarsi a problemi semplici ma fondamentali. Eppure non è possibile, leggendo questi nomi, non percepire un latente intento di futura commercializzazione, a vantaggio d’istituzioni educative, militari, pubbliche o private. Di certo, sistemi come questi non raggiungeranno mai le nostre case ma potrebbero trovare una collocazione, ad esempio, nelle scuole di volo, oppure come attrazioni per esposizioni o fiere cittadine di portata nazionale. La stessa produzione di un sistema d’interfaccia con simulazioni dai notevoli propositi d’intrattenimento, come quest’ultimo volo ambientato sopra l’aeroporto Schiphol di Amsterdam, dimostrano che gli scienziati tedeschi dell’MPI di biocibernetica sono tutt’altro che scollegati dal mondo pratico della ricerca di investitori, o in alternativa, dalla gioia ludica di fare un’esperienza nuova. In entrambi i casi, sarebbe assai difficile biasimarli. Nonché controproducente. Quando il vertiginoso solido platonico si stacca da terra con un formidabile strattone, tutto quello che possiamo fare è reggerci al sedile, sperando che quell’estasi non giunga mai ad esaurimento.

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