Sgommando sopra l’acqua con la tecnica dell’hydroplaning

Hydroplaning

Scoprire tutti quanti all’improvviso, grazie a una pregevole pubblicità di un lunedì d’inizio agosto, che una barca non è necessaria per far muovere i motori sopra i fluidi, e che soprattutto l’invenzione più inutile del mondo è proprio quella sua cugina, la moto d’acqua che talvolta viene definita PWC, Personal Water Craft. Perché mai dunque, verrebbe ormai da chiedersi, dovremmo investire per dotarci di un tale dispositivo ad-hoc, quando lo stesso veicolo a due ruote per il fuoristrada che può trasportarci fino ai confini della spiaggia, come ampiamente dimostrato dal pilota australiano Robbie Maddison per D.C. Shoes, può accelerare a sufficienza da fluttuare lieve, sollevando quella scia di goccioline che diventa polvere di stelle (grazie alla mano informatica di un sapiente AfterEffects) sul mare di Tahiti… Benché difficilmente possa bastare, a noi navigatori diffidenti, l’immagine di un simile miracolo sul modello del Vangelo secondo Knievel, per quanto giustificata grazie a vie tecnologiche con l’ausilio di due pattini sul davanti, oltre alla ruota posteriore trasformata in quella di una mini ferry-boat. Per credere davvero che un qualcosa sia avvenuto per filo e per segno, sotto l’occhio delle telecamere mendaci per definizione, occorre stabilire uno storico dei precedenti. Era mai stato in effetti tentato, qualcosa di simile all’eccezionale fenomeno del video virale intitolato dagli autori, con latente senso d’immaginazione, Robbie Maddison’s Pipe Dream? (7 milioni di visualizzazioni in un giorno) Beh…Dipende. Da una parte l’intero approccio del montaggio video, con la giustapposizione coi surfisti, l’attimo glorioso dell’onda che viene da dietro, l’apparente leggiadria visuale, sono invenzioni del tutto nuove e degne di nota. Mentre del resto questo fatto che un veicolo, del tutto privo di uno scafo, così lanciato fosse nei fatti in grado di far di un liquido l’asfalto, era stata già ampiamente dimostrata in precedenza, in vari tentativi precedenti, e costituisce addirittura la base di un’intera serie di competizioni tipiche della nazione d’Islanda, che consistono nel far volare delle buggy da una tonnellata e mezzo sopra i molti freddi laghi dell’isola vulcanica per definizione.
Qualcuno ricorderà forse una puntata del 2009 del programma inglese Top Gear, in cui il conduttore Richard Hammond si recava presso il lago di Kleifarvatn per conoscere e farci conoscere due dei migliori piloti del campionato Formula Off Road, forse la più brutale serie d’eventi su 4×4 del mondo. Durante il quale i partecipanti, al volante di questi veicoli essenzialmente costituiti da una serie di tubi d’acciaio saldati assieme, con motori da oltre 600 cavalli che quasi raddoppiano grazie all’iniezione di generosi dosi di ossido di diazoto (la nostra beneamata “nitro”) affrontano gare di precisione e velocità su terreni straordinariamente inaccessibili, come scogliere, cave di pietra, colli dissestati… E poi, ad un certo punto, come orgogliosamente lì dimostrato per il pubblico televisivo generalista, s’impegnano nel praticare quella che è ormai diventata l’irrinunciabile tradizione di lanciarsi sopra l’acqua immota, percorrendo tragitti di anche mezzo chilometro a bordo dei loro spaventosi draghi sputafuoco. È una prassi impressionante. È una vista dell’altro mondo. La cui natura d’apparente impossibilità fisica, in realtà, potrebbe trarre facilmente in inganno. Perché nei fatti basta ricordarsi, tra un video accattivante e l’altro, ciò che ci insegnarono a scuola guida, in merito al serio pericolo dell’hydroplaning (o acquaplaning) quella problematica situazione in cui gli pneumatici di un’automobile o una moto, trovandosi a dover percorrere una strada ricoperta dalla pioggia, finiscono per staccarsi momentaneamente dal terreno sulla piattaforma di un sottile strato d’acqua, portando al verificarsi di ogni tipo d’incidente. E non è poi così improbabile, a pensarci, che un simile fenomeno possa verificarsi anche in modo continuativo per tragitti di media lunghezza, nel caso di veicoli dalle ruote particolarmente grandi, per di più dotati delle significative indentature dei fuoristrada, valide ad accelerare anche attraverso tali superfici semi-trasparenti. Ciò che cambia rispetto a metodi di trasporto acquatico dedicati, piuttosto, è il rischio che si corre: perché una barca, anche se si ferma, resta pur sempre in grado di galleggiare. Mentre un’automobile o una moto…

Pipe Dream Motorbike
Per chi ancora non l’avesse visto, stupore e meraviglia ben confezionati in un involucro di sport. Pipe Dream, titolo della sequenza, è un’espressione tipica della lingua inglese, che significa “sogno della pipa” e fa riferimento alle visioni indotte da sostanze psicotropiche come l’oppio. Si tratta di un cliché linguistico infinitamente ripetuto.

E soprattutto, guarda caso, la seconda! Perché come potrete facilmente immaginare, minore è la superficie delle ruote che si trovi a toccare l’acqua, più velocemente occorre muoversi per mantenere solido il tappeto volante di quell’acqua incuneata sotto gli pneumatici. E non solo disporre di due invece che quattro complica le cose, ma nel caso della pubblicità di Maddison, l’impiego addirittura di una leggera moto da cross a due tempi KTM 250 SX, dotata degli pneumatici sottili tipici di quei veicoli, deve aver contribuito a rendere l’impresa estremamente complicata. Raccontava ieri alla rivista Transworld Motocross il meccanico Buddy Morgan, addetto della squadra tecnica a supporto della pubblicità, di come la realizzazione di quei fenomenali quattro minuti avesse richiesto numerosi tentativi, con un numero di affondamenti che lui stima tra i 30 e i 40, seguiti dal carico di lavoro per lui niente affatto indifferente di smontare totalmente la moto ed asciugarla in ogni sua parte dalla corrosiva acqua salmastra, prima di avventurarsi di nuovo nel tentare l’impresa. Proprio per questo, la due ruote era stata dotata di un dispositivo automatico di ritorno a galla il quale, gonfiandosi come un air-bag, ne consentiva il recupero a seguito di ciascun disastro. Nel frattempo alcuni ambientalisti nei commenti, come spesso capita, protestano per le quantità probabilmente non del tutto indifferenti di carburante rilasciato nel delicato ambiente naturale della Polinesia, vero paradiso per innumerevoli specie di pesci ed altri animali. A quanto pare, nella prima versione del progetto si era pensato di utilizzare una KTM 450 SX-F, o addirittura, al fallimento dei primi tentativi, una mostruosa Honda CR500R, finché non si è scoperto come nei fatti la velocità di spostamento contribuisse ben poco alla distanza percorsa sopra l’oceano, mentre ben più importanti erano la quantità ed il posizionamento degli sci e delle palette sulla ruota posteriore.
A ulteriore riconferma di come un simile fenomeno visuale sia in realtà frutto di un’attenta calibrazione idrodinamica o l’equivalente colpo di fortuna, piuttosto che l’effetto di un motore “tanto potente da sfidare il senso della logica”. Gli stessi fuoristrada islandesi, precedentemente in uso da parte delle squadre di soccorso di quei luoghi, si scoprivano fluttuare efficacemente più che altro grazie alla giusta combinazione di forma degli pneumatici, dimensione e quantità degli stessi. Tanto che, come dimostrato in precedenza, per mettere in atto lo spettacolo dell’hydroplaning non c’è niente di meglio che un mezzo cingolato e relativamente rapido, come un comune gatto delle nevi. Le cui prestazioni accidentalmente anfibie non soltanto vengono sfruttate ogni anno durante le sessioni acquatiche del Formula Off Road, ma sono anche alla base di straordinari voli pindarici d’ingegneria:

Wingrider Hydroplaner
Una moto da cross che naviga come un motoscafo? Difficile, non impossibile. Basta approcciarsi al problema con il giusto grado d’inventiva…

Tra le varie stranezze motoristiche rintracciabili su YouTube a seguito di una ricerca indotta dal video di Maddison, va certamente citata questa interessante Wingrider Tracktor, dell’omonimo gruppo argentino produttore di una singolare serie di kit di riconversione per motocicli da usare sui terreni innevati, il cui sito purtroppo, al momento in cui scrivo, risulta inaccessibile. Forse per l’effetto del rinato interesse di settore a seguito della trovata della D.C. Shoes? Possibile; ad ogni modo, l’approccio qui dimostrato risulta altrettanto valido, sebbene sostenuto da un’impianto registico decisamente meno efficace. Viene infatti mostrato il modo in cui una moto da cross purtroppo indefinita nella descrizione, comunque non così diversa dalla KTM di Maddison, ha ricevuto la modifica di un pattino anteriore e un cingolo sul retro, in grado di spingerla facilmente attraverso un terreno paludoso e la vicina laguna sufficientemente profonda da inghiottirlo tutto intero. Ma soltanto…Se si ferma. Cosa che difficilmente si troverà a fare, visto come i costi necessari per rimettere in condizioni di funzionare un veicolo a motore dopo l’affondamento siano trascurabili soltanto per le grandi multinazionali, che possono puntare su ritorni d’investimento assolutamente fuori parametro.
E poi qui manca, purtroppo, quel momento fenomenale delle ultime battute del video più recente, in cui il pilota australiano si ritrovava ad affrontare l’onda alta due metri e mezzo, con il pubblico che già lo immaginava percorrerla come una rampa, liberandosi per qualche attimo dalle catene della gravità. Evento mai mostrato sullo schermo e con ottime ragioni: l’acqua più ossigenata di una tale increspatura, nei fatti, è piena di microscopiche bolle che la rendono meno adatta allo sviluppo dell’hydroplaning. A quanto pare, infatti, pochi secondi dopo quell’eroico tentativo Maddison sperimentò l’ultimo e più significativo dei suoi capitomboli acquatici, che ha visto il veicolo soggiornare per quasi due ore sul fondale, prima di un difficile recupero d’altura. Del resto, poco importa: il sogno si era già concluso. Con la finzione scenica che unisce i vari tentativi in un’unica sequenza, assieme al giusto grado di elaborazione grafica, valido a lanciare nell’Olimpo dei video virali questa nuova produzione estrema. Per questa volta non uscita dalle solite fucine del marchio Red Bull, bensì dai laboratori marketing di quell’altro delle calzature, che già ne aveva condiviso in parte lo stile. Basti pensare alle sue sponsorizzazioni per la serie di gymkane rallystiche di Ken Block. Ed alla fine non si capisce bene l’associazione, ma nel rombo dei motori pare riecheggiare quel vago incitamento, valido per noi tutti, di correre a comprarci delle scarpe nuove…

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