Quando gli squali tentano di entrare nella gabbia

Shark Chomp

Era una situazione decisamente particolare, quella che aspettava la ranger volontaria Hillary Rae durante una delle sue giornate libere con tanto d’escursione fino al mare del Sudafrica, tra le invitanti acque delle molte baie incontaminate che si trovano tra la metropoli di Città del Capo e l’amichevole città di Port Elizabeth. In un video come questo, girato probabilmente nel contesto di uno dei molti tour a tema che si fanno concorrenza sulle brochure e i siti web per i turisti o i locali amanti delle cose veramente forti, si susseguono diversi sentimenti: rabbia contro la natura, entusiasmo, incredulità. La sensazione assoluta di trovarsi in quel dato momento, nella circostanza presente, con soltanto uno strumento di metallo a far da muro tra se stessi e un tritacarne semovente, dagli occhi acuti e la tremenda voglia di saziare la sua fame di…Sapere. Un’aspetto non spessissimo considerato, a margine di chi organizza gite come queste, è che gli squali al di sopra di una certa conoscenza sono animali dalla psicologia complessa, che potrebbero vivere, secondo recenti studi, fin oltre i 70 anni di età. Nel corso dei quali sviluppano, se non proprio i presupposti dell’intelligenza, per lo meno un senso di curiosità felino. Così avviene all’improvviso, dopo aver gettato in acqua le gustose esche sanguinolenti, che il pescione arrivi e non soltanto per mangiarle, sotto l’occhio inscatolato dei presenti-ardenti-di-passione. Ma al termine del pasto, gli vada pure il grosso occhio sopra questo strano oggetto dalla forma non organica, il parellelepipedo di ferro dalle sbarre alquanto rade, facendo scattare in lui/lei quel desiderio molto umano, di appropinquarsi per capire cosa sia. Il che è un problema potenziale, perché chi guarda spesso tocca, e il grande squalo bianco come da suo nome scientifico basato sulla lingua greca, Carcharodon carcharias, non ha molte mani bensì denti (kárcharos – aguzzo, odóntos – devo dirlo?) E denti e denti, in quantità praticamente interminabile. Alcuni degli appartenenti a questo celebre Ordine, nei fatti ne producono nel corso di una vita fino a 35.000 ca, ciascuno con funzioni attentamente definite. Ce ne sono di larghi e piatti, usati per schiantare le conchiglie o il guscio dei crostacei. Mentre altri, detti ad ago, sono sufficientemente aguzzi da bloccare prede piccole e sguiscianti. Ma i peggiori, per gli umani, sono certamente quelli triangolari superiori ed inferiori, l’ideale per tranciare pezzi da una foca e trangugiarla allegramente tra l’ora di pranzo e la merenda d’occasione, un attimo di gioia estrema per il pesce cane. Non c’è quindi molto da meravigliarsi, nel prendere atto di questa maniera preoccupante in cui la bestia si getta contro le sbarre metalliche di questa postazione, rischiando l’integrità dei propri ausili alla masticazione, giungendo a piegare il duro metallo di alcune delle più sottili in due, tre punti. Per poi concentrarsi, molto fortunatamente, contro uno dei sostegni d’angolo dell’intero costrutto, tanto resistente da riuscire a svolgere la stessa funzione dell’osso di seppia, per il pappagallo.
E qui la scena assume proporzioni quasi comiche, con una voce femminile (forse proprio della titolare del canale) che si fa stridula ed acuta, mentre l’immancabile GoPro si muove freneticamente sopra e sotto l’acqua, offrendo i vari angoli del mostro che aggredisce il palo. Il quale, per fortuna, non finisce per ghermire uno dei galleggianti di sostegno, con conseguenze prevedibili per gli occupanti: un brusco sommovimento della gabbia, comunque assicurata e recuperabile dall’imbarcazione soprastante. Ma nessuno vorrebbe mai venire scaraventato, in una tale situazione, contro i confini dello spazio per così dire sicuro, finendo magari con un braccio oppure deliziosa gamba alla portata del carcarodonte. Basta un attimo di distrazione…

Shark Chomp Chomp
Una vicenda simile a quella della Rae veniva documentata in quest’altro video girato presso l’isola di Guadalupe, tra la California e il Messico, da Arvil Price nel 2010.

La vita è piena d’imprevisti e tutto può di certo capitare. Ma fra i vari incidenti che si temono nelle giornate di assolato mare, questo in particolare, di attirare l’attenzione perigliosa del principale mostro dallo scheletro cartilagineo, appare particolarmente avulso dal contesto della nostra semplice vita mediterranea. In cifre: 1 possibilità che avvenga su diversi milioni. In parte per la minore diffusione delle tre specie più temute ed aggressive, squalo tigre, toro e il grande bianco (benché siano presenti alcuni appartenenti alla famiglia del comunque pericoloso s. martello, specie in prossimità delle isole spagnole). Ed in una misura altrettanto significativa, va detto, perché in linea di massima non ce li andiamo mai a cercare. Qualsiasi squalo, per principio, non apprezza la carne degli umani, che trova troppo povera di grasso e indigeribile, a causa dell’alto contenuto osseo rispetto ad una foca. Per questo, anche nei casi più terribili di aggressione su scala globale, si parla in genere di un solo morso oppure due, usati dall’animale per saggiare la sua potenziale preda, poi lasciata a dissanguarsi in cerca di un pasto migliore. Ciò avrebbe dovuto portare, nei fatti, ad una situazione di convivenza pacifica, in cui gli squali, tutt’altro che propensi a rischiare la propria incolumità, fuggivano al confronto coi mammiferi visitatori. Se non fosse che, come dicevamo, il pesce cane condivide col suo omonimo di terra (Bow! Wof!) Una particolare propensione, ad indagare sull’origine di una situazione nel complesso fuori dal normale. È stato dimostrato verso la metà degli anni ’90 dal naturalista del sud dell’Australia Strong et al, nel contesto di ricerche ventennali sul comportamento di queste creature, che un grande bianco è più propenso a risalire in superficie per una forma quadrata o rettangolare che si staglia contro il sole, piuttosto che per quella realistica di un leone di mare. Ciò deriverebbe dalla sua vivace intelligenza, unita a una memoria assolutamente degna di riguardo, che secondo tale studio gli permetterebbe addirittura di distinguere tra un triangolo, un cerchio a strisce e così via. Il che di certo andrebbe a nostro vantaggio, se non fosse per la problematica abitudine, portata avanti in modo particolare dalle istituzioni simili a queste mostrate del Sud Africa e dell’Isola di Guadalupe, di far offrire dalle turistiche e zelanti mani ogni sorta di regalo alimentare per le belve, che in tal modo finiscono per associare il suono di un motore o delle strane voci umane, al cibo. Mmm, delizioso.

Rodney Fox
L’inventore della gabbia per gli squali avrebbe, nelle parole del commentatore di questa intervista “Più ragioni di odiarli rispetto a chiunque altro” Mentre, nei fatti, è vero l’esatto contrario…

Uno strano sovvertimento dell’ordine delle cose, laddove la gabbia per squali nasceva, a seguito del 1963, per scopi ed obiettivi totalmente differenti. Quello fu infatti l’anno in cui il suo inventore, l’australiano Rodney Fox, visse l’esperienza quasi fatale che avrebbe cambiato la sua vita. Si trovava, costui allora poco più che ventenne, a largo della spiaggia di Aldinga, presso la città di Adelaide, per partecipare all’annuale gara di pesca subacquea col fucile. Quando all’improvviso, come racconta in questa intervista realizzata dal canale Veritasium, fu improvvisamente attaccato da uno squalo di ragguardevoli dimensioni, creatura tutt’altro che rara in simili luoghi. La quale nonostante tutto, raramente costituisce un rischio per l’uomo, dati tutti gli elementi sopra citati, benché le eccezioni capitino. E quando avviene, le conseguenze sono gravi… Fox, che viene considerato il sopravvissuto al singolo attacco di uno squalo più grave nella storia, venne morso improvvisamente al petto, con immediata rottura scomposta delle costole dal lato destro e successivo trascinamento sott’acqua. Soffrì la perforazione di un polmone e del diaframma e l’incrinatura di una scapola, ma non era finita qui. La creatura, insoddisfatta, ritornò in quel caso all’attacco, venendo fortunatamente bloccata da un colpo vibrato dalla vittima in prossimità della sua bocca, con conseguente ulteriore morsicamento della mano e del braccio. Rimasto finalmente solo e prossimo al decesso per dissanguamento, l’uomo fu inaspettatamente ripescato da un’imbarcazione che si trovava nei pressi per assistere alla gara, poi portato in tempi estremamente brevi all’ospedale più vicino. Dove ricevette le cure necessarie a sopravvivere, seguite dall’applicazione di ben 462 punti complessivi in varie zone del suo corpo. Ma non la rimozione dell’ultimo frammento di uno dei denti del pesce carnivoro in questione, che si troverebbe ancora incastonato nel suo polso.
Dopo una simile esperienza, lungi dal perdersi d’animo, proprio costui si applicò per tornare in forma nel tempo più breve possibile, operazione a seguito della quale dovette affrontare un problematico dilemma: avrebbe mai potuto una persona, grande appassionata d’immersioni, rinunciare a simili esperienze per la “semplice” paura degli squali? Così nacque l’idea, a seguito di una visita allo zoo di Adelaide, di frapporre una barriera invalicabile tra la belva ed il suo pasto potenziale. Operazione talmente riuscita, ed innovativa alla sua epoca, che gli permise di porre le basi per la prima istituzione al mondo in grado di offrire il vis-à-vis coi peggiori mostri del profondo, ben presto imitata da innumerevoli altri operatori, principalmente australiani, statunitensi e sudafricani.
Stiamo parlando della Rodney Fox Shark Expeditions, che spicca tutt’ora non soltanto per la sua integrità operativa, ma per la ricca serie di opere divulgative e assistenziali verso simili creature, fin troppo temute e odiate dalla gente. Benché sia stato proprio Fox stesso, collaborando con Steven Spielberg nel ’75, il responsabile di tutte le sequenze “vere” del film Lo Squalo, oggi riconosciuto come l’origine cinematografica dell’intera problematica condivisione. È possibile, del resto, non avere paura di una simile mostruosità masticatoria? Forse, nonché utile. Per lo squalo, sicuramente. Un po’ meno per tutti quegli individui “coraggiosi” disposti ad immergersi in acque infestate, confidando nelle 9.999 possibilità che tutto vada bene. Come in tutte le cose, occorre trovare il giusto equilibrio e un senso (in)naturale di rispetto.

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