Un ritorno a 223,3 Km/h per la bicicletta del Barone Rosso

Eric Barone

Il primo passo verso la realizzazione di un sogno è talvolta pure l’ultimo, visto il modo in cui tende a configurarsi la catena degli eventi. Come in una fila di tessere del domino, può bastare la momentanea presa di coscienza del bisogno di fare l’impresa, l’attimo in cui si dichiara ai propri amici o familiari: “Io lo farò, quant’è vero il casco aerodinamico della mia tuta bici-spaziale” Per dare luogo ad un’alterazione del significato di quella parola, Volontà. Non c’è un salto troppo alto, una salita eccessivamente ripida, un deserto irragionevolmente riarso, per chi ha fatto del proprio obiettivo una missione, incisa a chiare lettere tra le spirali genetiche della sua pura essenza il D.N.A, dove se ne va… Sempre in basso, spinto innanzi dalla furia della forza gravitazionale. Sulla base e dentro al nocciolo della questione; ben oltre quello che si possa definire “ragionevole” o “sensato” e nel regno delle pure idee, giungendo all’incontrario nell’Olimpo della storia del ciclismo. Se ancora di quel familiare sport stiamo in effetti parlando, in una simile versione bianca e post-umana. Lui è Eric Barone, stuntman francese di 55 anni formatosi nel cinema, al servizio di figure quali Stallone e Van Damme. Con alle spalle un carico d’esperienza pratica ben superiore alla media di chi fa un tale lavoro, generalmente destinato a ritirarsi sugli allori della fama dopo appena un paio di generazioni di gloriosi exploit. Ma non lui, nè adesso nè domani, visto la direzione che ha scelto di percorrere a partire dal 1994, il superamento, chiaramente misurabile e ben definito, della velocità massima raggiungibile su una due-ruote spinta al massimo dall’energia muscolare, sulle varie superfici utilizzabili per quello scopo. Tra cui la neve.
Così lo ritroviamo, lo scorso 28 marzo, sulla linea di partenza di un percorso attentamente ingegnerizzato dal suo team, con origine dalla cima dello ski-resort provenzale di Vars, presso le Alpi sul confine con l’Italia. E lui sarebbe stato ben difficile da riconoscere vista la strana tenuta, se non fosse stato per l’iconico colore vermiglio di quest’ultima, un chiaro quanto reiterato riferimento al suo nome di battaglia “Baron Rouge”. Chi mai poteva resistere al richiamo di una simile associazione fortunata, tra il proprio cognome ed il temuto asso tedesco del primo conflitto mondiale! Quel Manfred von Richthofen che i francesi, in effetti, chiamavano Le Diable, sopratutto per l’effetto devastante della sua capacità nel manovrare le pericolose macchine volanti. Sono tutti guerrieri questi, giusto? Incluso quello con le ali di pipistrello (Batman biblico) che lottavano contro le convenzioni, tra cui la più dura e radicata: ciò che possa dirsi realizzabile da mano e mente umana, previo abbandono di ogni sorta di limite tecnico determinato. E in questo caso, si nota subito la strana forma del veicolo da usare per l’evento. Una bici pienamente carenata, con pneumatici sottilissimi e gonfiati fino al limite della loro capacità, onde minimizzare ulterioremente la superficie che si trova a contatto con la neve. Ma il velocipede in questione, creato a partire da un modello della Sunn, esaurisce presto le caratteristiche in comune con le migliori controparti professionali, costruite per avere prestazioni equilibrate in gara. Alla maniera di un dragster automobilistico, ciascuno dei suoi elementi è stato modificato ai limiti più estremi della pura immaginazione.

Frutto di oltre tre anni di progetti e prove tecniche, il veicolo di Barone si avvale di una ruota posteriore misurante 73 cm ed una anteriore da 70 montata, nello specifico, su di una forcella estremamente sottile e resistente. Facendo capo a lunghe sessioni di test in galleria del vento, il suo team di oltre 50 persone aveva quindi determinato i punti migliori per l’aggiunta di carene aerodinamiche, cupolini ed alettoni. Tratto assai particolare dell’oggetto di tanto lavoro, restava il fatto che non dovesse affatto curvare, potendo quindi rinunciare al bisogno di una ragionevole deportanza, ovvero la spinta dell’aria verso il suolo. Lo stato più desiderabile, in effetti, restava un leggiadro quasi-volo sulla superficie soffice della neve, senza che nulla, tanto meno il pilota, intervenisse sul delicato equilibrio e la distribuzione del suo peso. Per questo, anche nel momento culmine della discesa, quest’ultimo non azzarda neanche una mezza pedalata, per il rischio di compromettere la configurazione dei vettori. La stessa tuta indossata, inoltre, era stata sottoposta allo stesso trattamento, affinché una volta assunta la posizione di discesa, formasse un tutto unico e privo di estrusioni sgradevolmente frenanti o altre inappropriate irregolarità: proprio per questo, nel salire sulla bicicletta, lo stuntman fatica vistosamente, in un modo probabilmente comparabile a quello di un cavaliere medievale sulle prime battute di un torneo. Ma poi, come ogni altra volta precedente, giunge l’attimo d’indossare l’elmo a cupola trasparente, sparisce l’uomo e si palesa il meteorite:

Eric Barone 2

Qualsiasi scelta di carriera votata al superamento di un record è per sua natura destinata ad estendersi per tempi lunghi e imprese travagliate. Questo perché ogni volta che si supera il possibile, non soltanto ci si rende vulnerabili a chi sia intenzionato a rifare la stessa cosa, andando soltanto un po’ più innanzi in ciò che possa considerarsi un rischio ragionevole, ma si diventa subito nemici di se stessi. È uno strano processo! Come un artista, che appena completato il suo ultimo capolavoro, lo rigettasse per fare di meglio. O un cane che lanciata la sua stessa palla da tennis, dovesse correre a riprenderla oltre una siepe sterminata. Così, attraverso gli anni, le imprese di Eric Barone si configurano come un continuo superamento di cifre incredibili, spesso messe in opera proprio da lui stesso di qualche anno prima: dopo quella prima volta del 1994, stabilisce nuovi record su neve nel 1999 e nel 2000, raggiungendo infine la ragguardevole velocità di 222 Km/h, la velocità di poco superata, dopo esattamente 15 anni, giusto un paio di settimane fa. Parallelamente ed a partire dal 2000, inizia un percorso d’imprese altrettanto rischiose sullo sterrato dei vulcani più famosi del pianeta, che l’avrebbe portato a visitare più volte le Hawaii, il Monte Fuji e il Cerro Negro nicaraguense, luogo in cui avrebbe dialogato brevemente con la morte stessa. Perché fu proprio lì, in un quasi fatale 12 Maggio del 2002, che dopo aver disceso con una bicicletta di serie a una velocità di 163 Km/h, scelse di schierare anche la sua arma segreta, un prototipo visivamente simile a quello visto nella nuova discesa sulle Alpi, ma purtroppo assai meno perfezionato. Ma chiaramente lui non era, sopratutto allora, un tipo da lasciarsi controllare dall’ansia, e tanto presto coraggiosamente prese il via. Avvenne quindi che poco dopo, in un vortice di terra cinerea, la sua forcella si spezzasse nettamente in due, ma non prima che i sensori registrassero una velocità di 172 Km/h, tutt’ora imbattuta su sterrato. Ma Barone, fresco di una simile vittoria, rotolò rovinosamente in quella che sarebbe stata la peggior caduta della sua vita, un evento che gli costò diverse costole rotte ed altre conseguenze non meglio definite. Laddove tuttavia, per lo meno il casco fece il suo dovere.
Oggi lo stuntman veterano, che ha giurato a stesso di non tentare più il record su sterrato, ancora è lieto di percorrere le strade nevose del possibile, ridefinendo ciò che sia alla portata di un manubrio, due ruote ed un sellino. Noi, che finalmente lo seguiamo in prima persona grazie alle registrazioni delle nuove telecamere di bordo, non possiamo che augurargli nuovi e memorabili successi di carriera.

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