Gli ultimi ribelli della linea tratteggiata

La linea russa

“Ci obbligano ad andare dritti Ivan, ma in verità ti dico: cos’è Dritto e cos’è invece… Ss..stor-to!? [beve un sorso di Vodka dalla bottiglia quasi terminata]. L’altro giorno, camminando per andare fino alla scuola di guida e farmi ridare la patente, ho visto che: i lampioni di Novosibirsk sono sempre ec-ecs-quidisctanti. Tranne UNO!” Sull’esclamazione carica di sentimento, la Tata Nano rugginosa sbanda vistosamente verso il bordo della quintultima strada provinciale dell’Oblast. Sopra il rombo del motore, si ode a malapena l’eco di un belato infastidito, proveniente da una capra, lì sperduta, semi-nascosta dietro a un albero piuttosto amiforme. L’autoradio resta spenta ormai da anni, senza neanche l’ombra di una manopola sopra il suo frontalino scalcagnato. Ivan guida concentrato e cerca di ignorare il passeggero. “Mah [burp] tu lo sciai cosa c’è lì – è il sscegreto della geo-metria. Perché se ti metti al centro della stradt-al centro de-la stra-da, e guardi dritto innanzi a te…” Per sottolineare l’affermazione, l’anziano ubriaco si appoggia sul cruscotto, inclinandosi parzialmente verso il lato guidatore. Ivan agita la mano destra infastidito per scostarlo, mentre il motore va troppo su di giri per un mancato cambio di marcia. “Vedi, lo sai COSA vedi? Triangoli isosceli l’uno sull’altro e sovrapposti, ciasch-iuno confinante all’altro. Scommetto che non ci avevi mai p… Pensato” Ivan se l’immagina con gran facilità: il suo zio scapestrato che pianta i piedi in mezzo a una strada di scorrimento del centro della terza città russa per popolazione, mentre gli automobilisti gli sfrecciano rabbiosamente ai lati. Un braccio orgogliosamente piantato sul fianco sinistro, l’altro teso dritto innanzi a se. Con il pollice alzato alla ricerca del punto di fuga e un occhio semi-chiuso. I lunghi capelli bianchi che svolazzano nel vento del crepuscolo transiberiano…. [Alza di nuovo la bottiglia, resta insoddisfatto. Ne controlla attentamente il fondo, quindi tira giù il finestrino e la lancia di fuori.] “Vedi [hic] quando facevo il macchinista della ferrovia, avevamo un detto: non è l’incidente che ti frega, ma la noia. Siamo tutti gran lavoratori, fino a che non sopraggiunge la routine” Ma tu guarda, adesso parla pure il francese! “Allora, o si dorme, o si conta!” Come, cosa? “Ma le traversine, quesch-to dovrebbe essere ovvio, caro mio. Non avrai bevuto un bicchierino di troppo a pranzo? Cento, 200, tremilacentoventidue, questo qui è il mio record-s.” La bottiglia rimbalza sull’erba senza rompersi, quindi sparisce oltre l’ansa di una curva “Non si arriva a tremilacentoventidue, mio caro Ivan, senza comprendere la geo-metria.” E poi continua… Tu forse non sai, oh giovane senza coscienza artistica ma pur sempre nipote di mio padre, ma io facevo il pittore. Quando avevo la tua età, mi chiamavano “Il Giotto ferroviere”. E so riconoscere la mano di un collega. Nelle vaste distese grigio-verdi della tundra abbandonata, non c’è un senso ulteriore, in ciò che fai, tranne quello che tu porti nel profondo del tuo portafoglio. La coscienza di un lavoratore, che come sicuramente avrai capito, non risiede nel suo fegato. Oppur nell’anima, nella mente carica di elettriche sinapsi interconnesse, ma nel senso di riconoscenza verso la sua società. Che gli concede considerazione, in cambio di opere preziose perché salvifiche nel loro scopo. Di mettere a frutto questa somma geo-metria. Ma tutta questa spiegazione va perduta, come lacrime nel vento del mattino.
“Figliolo, ora guarda!” Dice invece, ad alta voce. “Adesso guarda bene, non distrarti…” Le mani saldamente strette sul volante, lo sguardo torvo dal fastidio, l’autista-suo-malgrado, reclutato per andare alla sessione degli alcolisti anonimi laggiù in città, riduce la pressione sul pedale di accelerazione. Suo zio ha ragione, c’è qualcosa di strano. La corsia di destra sulla carreggiata, che basta a malapena per contenere la sua piccola automobile, si sta stringendo. È come se la strada tendesse a destra, con una piccola ma significativa differenza: in quella parte ulteriore, l’asfalto non ci sta. “Ahahahaha. Ah! Ah! Разметка дороги где-то в России, figliolo. Разметка дороги где-то… Smettila di preoccuparti e segui il flusso.” Strano, lo zio Vyacheslav, per una volta, non sembra perso nel suo mondo. Il tono di voce è ritornato quello di una volta (e anche l’idioma!) Talmente resta colpito, Ivan, che per un attimo si volta verso il suo fastidioso passeggero. Quando torna a guardare dritto innanzi a lui, un enorme autoarticolato oscura il limpido orizzonte, dalla parte sbagliata della strada. La sua griglia cromata protettiva, verticale e quasi goticheggiante, è sovrastata da una splendida vetrata variopinta. C’è quello che sembrerebbe un tappeto persiano, appeso in fondo alla cabina, mentre un alberello deodorante dondola illusorio al centro dell’incredibile miraggio. Sotto a quello, un camionista che fatica a tenere gli occhi aperti, semi-addormentato sul volante. Ma Ivan lo sa bene: è impossibile sterzare in tempo. Per tutti gli orsi candidi sulle conifere innevate…

Lo stradino
Anche fare un qualcosa veramente molto bene, da un certo punto di vista, è un chiaro atto di ribellione. Quanto meno, verso le aspettative dei colleghi…

Nel frattempo, all’altro lato dell’Eurasia, un uomo in tuta arancione guida il suo carretto su e giù per la ridente Sondrio, in Lombardia. Tutti lo chiamano, a quanto pare dal titolo del video: lo Stradino. Ed ecco a voi il perché: costui non è uno stregone, né un hobbista a passeggio di passaggio, ma il dipendente comunale che si occupa per professione di rinnovare le linee della strada biancheggiante. Quei tatuaggi dell’ambiente urbano che studiamo verso i 18 anni, quando è tempo della pratica e teoria, crocette, crocette su di un foglio rilevante, quindi un rapido giretto assieme all’esaminatore. Quando son tutti preoccupati d’insegnarci: “Fra le diverse tipologie di indicazioni stradali, questa qui è la meno importante. L’ordine coscienzioso è il seguente: vigile>cartello verticale>segnaletica orizzontale.” Il che vuol dire che: se per terra c’è scritto STOP, ma un uomo col cappello ti dice di andare, tu non fermarti. Altrimenti, affari tuoi.
Non dev’esserci lavoro maggiormente privo di gratitudine apparente, tra quelli svolti da chi cura la viabilità, che mettere la propria arte al servizio di una linea che nessuno poi rispetterà. Basta un rapido giro in quelle strade, per rendersene subito conto: gli automobilisti sorpassano dovunque, effettuano inversioni pure dove il tratto è ininterrotto. Perché quindi, tratteggiare? Ci sono diverse teorie. Chi agisce per soddisfazione personale: “Ah, che m’importa. Questa riga è dritta come la coscienza dei probi. Se pure loro non esistessero, io userei la mia, di bussola morale” Oppure, per guadagno e senso del dovere: “Allo scopo di nutrire i miei figli, sono anche disposto a fare i buchi alle ciambelle” E così via. Ma nessuno di costoro, a conti fatti, è un ottimo lavoratore. L’artista all’opera, lo riconosci subito. Guarda lo Stradino, se vuoi. Come corre con le ruote che lo portano al remoto nocciolo della questione. Il modo in cui, accuratamente, manovra quella spazzola che lascia il segno acceso-spento, acceso-spento fino al dopo ed ogni tanto mette un cono (come, perché? Così!) Non è certamente l’obiettivo, a motivarlo. Bensì l’opera stessa, il ritmo e il segno del trascorrere infinito. L’impossibile segno dell’occulta geo-metria.
E ce ne sono milioni, questo è il bello! In un mondo di ambizioni, in cui i soffitti di vetro costituiscono la sfida stessa al proprio senso della vita, molti guardano dritti davanti a loro. Perché sanno che è l’universo stesso, ad essere curvo, e qualche volta l’alto è come il basso, la destra e la sinistra, puri e immoti spazi virtuali…”STOLTO, NON TOCCARE QUELLO STUPIDO VOLANTE” Le pastiglie dei freni della piccola utilitaria russa, ormai praticamente in fiamme, stridono pericolosamente. Come i denti del vecchio Vyacheslav, che guarda fisso verso l’ostacolo vivente, ricordando lo stregone Gandalf, laggiù a Moria, innanzi al Balrog risvegliato! 30 tonnellate di ferro, pneumatici torreggianti e un carico di 6.000 boccette di Kefir, lo yogurt russo, ben protetto da 15 metri quadri di telone per veicoli pesanti. Ma è chiaro che il suo avviso, in questo caso, risultava del tutto inutile: Ivan è letteralmente pietrificato dal terrore è sta rivivendo in quel preciso attimo, all’incirca, gli anni migliori della scuola media. Mentre la riga, la riga sulla strada è strana. Si sta stringendo dalla parte opposta! Ciò che governa il flusso dei veicoli ha una mistica ragione. Troppo spesso trascurato, ridiventa quel che era da principio: un semplice consiglio, tracciato con vernice candida sul duro asfalto e…Misterioso. L’enorme autoarticolato si avvicina, diventa enorme, quindi pare farsi un po’ da parte. Il camionista, ormai posto in alto nella luce del parabrezza e immobile come una statua di cera, pare distorcersi, poi farsi stretto e lungo quanto l’urlatore di quel quadro maledetto, tempere e pastelli alla Nasjonalgalleriet. Il Giotto ferroviere già conosce la ragione, aveva visto i segni: una linea di demarcazione che tende verso la banchina, in mezzo al nulla dell’Oblast, non è uno sbaglio accidentale. Ma una leyline coscienziosa, che piega lo spazio e se la ride, ride del pericolo dei disattenti. Dove convergono i triangoli, spariscono i lampioni. L’autotreno si fa stretto-stretto, giusto i 30 cm lasciatogli a disposizione da un qualche Stradino illuminato. Una capra torna dietro al pero. La Tata Nano resta integra e continua la sua corsa, verso il vasto centro urbano di Novosibirsk.

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