I duri contrattempi della caccia all’aragosta

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Un destino peggiore della morte. Il che non esclude, strano a dirsi, la morte. Venire ripescati dal fondale astruso del profondo mare, trasportati dentro a un sacco fino a un frigorifero di oziosa meditazione. Per poi ritrovare, finalmente, l’acqua, eppure poca. Solo quella necessaria per la pentola sia chiaro, tale cosa tonda di metallo che tu ancora non conosci, perché sei rossa e grossa, tiepida e bitorzoluta, semplice, Pacifica aragosta. Pacifica perché, nello specifico provieni da quel vasto Oceano, il più colossale e misterioso, che si estenderebbe facilmente da una parte all’altra dell’Eurasia, per il tramite di un giro tutt’attorno al suo pianeta. Se non fosse per la lunga cosa in mezzo, la barriera di una terra, di quelle cosiddette “emerse”. Tale grigia e verde preminenza, tanto ingombrante, che si chiama Continente. L’America per l’appunto, 42 milioni di chilometri del tutto invivibili, per voi decapodi, mammiferi marini, oltre agli amici pesciolini. E forse stavano meglio, tutti quei crostacei con i loro cuginetti, quando alla genesi del mondo ne esisteva solo uno, la Pangea di tutti i popoli, striscianti, quadrupedi o scagliosi, nonché quelli ancora da venire, carnivori e sapienti pescatori. Ma la geologia a questo conduce: suddivisioni. E così avvenne, milioni di anni fa, lo scisma evolutivo che condusse tutte le aragoste dell’Atlantico ad avere grosse chele. Mentre dall’altra parte, invece, solo antenne. Difficile capire la recondita ragione! Ci sono addirittura due termini diversi, in lingua inglese, per riferirsi alle due tipologie di creature, lobster (chelate, dalla parte del Vecchio) e crayfish (…). Salvo eccezioni, come la presente, che risponde alla sua legge, solamente.
Pare di verderla, questa Panulirus interruptus o aragosta spinosa della California, senza chele ma pur sempre detta lobster, secondo l’inesatto nome collettivo. Poco prima di finire dentro a un piatto, nella ciotola metallica sul fuoco, senza neanche il seme giustificativo della Comprensione. Lentamente, inizia a fare un po’ più caldo. E poco dopo, ancora un po’ più caldo. Finché non resta solo un suono, l’assordante fischio della fine, un’arma di difesa senza soluzione di salvezza. Resta quindi, la soddisfazione dello chef. Che cosa di buon gusto! È una storia tragica che inizia in modo divertente. Come spesso capita, di questi tempi: guardate qui che scena. Rick Coleman, esperto pescatore di aragoste e fervido appassionato di biologia marina, assieme a Susie, la sua cara moglie, la quale ha deciso che. Si: è giunto il momento d’impegnarsi. Avvicinarsi a quel cimento, di portare il proprio pasto sulla tavola, senza l’impiego di una trappola di o simili strumenti tecnologici. Soltanto le sue mani ed il pensiero, i gesti rapidi già ben conosciuti dal consorte. Che intanto se la ride, telecamera alla mano. Si sa: tra il dire e il fare….
Perché l’aragosta, quando minacciata, non soltanto fischia ma ricorre a un altro tipo di risposta. Può schizzare via, come un gambero colpito dalla frenesìa! Gli effetti sonori del sapiente video aiutano ad enfatizzare le bizzarre circostanze.

Così lei nuota e si avvicina, senza alcun evidente errore nelle procedure. Tutto viene fatto a regola di manuale (si capisce che lui gli aveva dato una lezione). Ma ciascuna preda, all’ultimo momento, agita velocemente la sua coda, una, due volte. In un turbinar di sabbia, sparice il crostaceo con il suo esoscheletro placcato, resta solo un senso d’insoddisfazione. È piuttosto sorprendente, per chi non li conosce, vedere questi animali con tante zampette, notoriamente gran camminatori dei fondali, partire come razzi fuori controllo, veri e propri ninja degli abissi. Del resto, tra i predatori naturali dell’aragosta della California troviamo il persico gigante, diverse specie di squali, polipi e lontre marine. Nemici implacabili, che non lasciano facili vie di scampo. Almeno, senza l’adeguata dose di riflessi e un buon allenamento ai casi d’ermergenza…

 

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Vedere il maestro al lavoro fa sempre un certo effetto

Un’aragosta come queste, se lasciata in pace da: mani che ghermiscono o denti morsicatori e zanne etc. etc, si ritiene che possa vivere fino a 50 anni. Un periodo di tempo superiore a quello di cui disponevano molti dei nostri antenati, all’epoca in cui queste creature erano considerate solo quel che tutt’ora sembrano, in effetti: scarafaggi acquatici, praticamente incommestibili. Quando un’aragosta muore, il suo organismo rilascia un enzima che inizia subito ad attaccare la carne, rendendola gommosa e sgradevole. Per questo, fino al XIX secolo, si trattava di un cibo riservato solamente alle classi povere, ai prigionieri per debiti e gli altri servi della gleba, in senso variabilmente letterale. E non era certo raro, trovarne sulle tavole dei primi coloni americani, o dei loro schiavi, costretti loro malgrado a nutrirsi d’esponenti di questa vasta famiglia d’animali; sia con le chele che prive di quest’ultime, a seconda di quale fosse la costa oceanica presa in esame, la stagione o l’ultimo dei pescherecci approdati presso i porti più vicini.
Mentre oggi, per l’ironia del fato, proprio qui ci troviamo dinnanzi ad un caposaldo della cucina di lusso, dolciastro coronamento di ogni prestigioso e luculliano pasto; come cambiano i tempi! L’aragosta della California, da sola, è responsabile della maggior parte delle esportazioni di pescato della West Coast e il suo sfruttamento viene accuratamente regolamentato. Guai, a chi dovesse farsi trovare da un addetto delle autorità, con più di sette prede nella rete! O anche, nel frigorifero di casa. Le multe sono assai salate, almeno quanto approfonditi, ed accurati, i controlli quotidiani della guardia costiera. Dotata, addirittura, di visori notturni impiegati contro i pochi, impreparati cacciatori di frodo. Non che Susie, vista la sua abilità straordinaria, rischi di superare tanto presto tale limite. Ma non fatevi trarre in inganno: gli ostacoli che la mettono in crisi sono gli stessi di chiunque altro, alle prese con quella particolare sfida. I crostacei, come gli insetti, non hanno un unico cervello, ma una serie di gangli decentrati, che gli consentono di reagire al pericolo con estrema rapidità. E di sopravvivere facilmente, loro malgrado, al pietoso colpo di grazia dietro la “nuca” che alcuni cuochi (poco informati) gli offrono erroneamente, prima di buttarli vivi sopra il fuoco.
Così, nonostante le difficoltà, ogni anno tra Ottobre e Marzo, ricomincia l’inseguimento, la pesca e la conquista. In fondo, ogni madre-aragosta depone fino a 680.000 uova, che si schiudono dopo dieci breve settimane. Ne fuoriescono altrettante minute larve, che attraverso un ciclo successivo d’improbabili metamorfosi, diventano quella particolare, eccezionale cosa. Si può solo continuare a provare, sperando che si stanchi di nuotare, prima o poi.
Potenzialmente longeva e sfortunatamente gustosa, specie se trattata con l’opportuna dose di residuo barbarismo: cotta viva, perché no. Evviva, evviva! Alla fine l’hai afferrata, cara mia. Che fame, che mi fai venire….

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