I segreti della pialla giapponese

Yosegi

Non c’è prova migliore dell’abilità di un falegname che chiedergli di realizzare questa scatolina, decorata secondo il metodo yosegi-zaiku (寄木細工). Lui dovrà prendere fino ad otto campioni di legno differente, perfezionandoli fino all’aspetto di sottilissime bacchette, bianche, nere, rosse, gialle e così via. Ciascuna proveniente da alberi diversi. Poi, con mano attenta, incollarle saldamente fra di loro, creando l’equivalente non commestibile di un rotolo di sushi-maki, senza riso, ovviamente, ma dalla superficie lignea e geometricamente ripetuta. E ben prima che si possa contemplare tale strano oggetto, così artigianalmente calibrato, sarà già giunto tempo di tagliarlo! In sottili striscioline, come fosse un trancio di salmone. Grazie all’uso di un ineccepibile strumento: la kanna (), tradizionale pialla giapponese.
Chi l’avrebbe mai detto, che l’opaco legno potesse diventare quasi trasparente! Un colpo dopo l’altro, quel blocchetto si trasforma in carta variopinta. È una meraviglia della tecnica artigiana che viene da lontano, anche cronologicamente. Venne infatti utilizzata, fin dagli albori dell’epoca Edo (1603-1867), come sistema decorativo per soprammobili, cassetti, scrivanie e varie tipologie di scatole tra cui questa, rettangolare con coperchio, è senz’altro la più semplice. Un’aspetto interessante di queste creazioni è che non erano per niente fuori dal comune, appannaggio dei potenti, bensì un prodotto a basso costo, ancora oggi favorito per l’esportazione. Ne preparavano a dozzine, in poche ore, grazie al metodo descritto in apertura. Il segreto per crearle, probabilmente, veniva tramandato dentro alle botteghe, di padre in figlio, attraverso la pratica e con significativo orgoglio di categoria. C’era persino un grano di sacralità. Dal punto di vista culturale e secondo la prassi culturale dello Shintō, lavorare il legno è sempre stato un mestiere veramente puro, proprio perché prossimo agli spiriti della foresta. Colui che potesse prendere un qualcosa di organico e complesso, per trasformarlo in cose utili alla società, funzionali o gradevoli allo sguardo, veniva mantenuto in grande considerazione.
Anche il celebre Katsushika Hokusai (1760-1849) con le sue xilografie, raffigurò più volte i falegnami, possibilmente in giustapposizione con la cima del monte Fuji, in lontananza. Ecco un esempio, tratto dal suo ciclo illustrativo più famoso, di un fabbricante di botti armato della pialla a lancia, remota antenata della kanna. Chi meglio di quel grande artista, che dell’incisione in legno fece un mezzo visuale rivoluzionario, avrebbe potuto comprendere quell’importanza, di assemblare un metaforico contenitore di sapienza?

Kanna
Dei falegnami giapponesi si sfidano a Uwajima nel 2012. L’intervento degli americani in visita dimostra il difficile utilizzo del kanna

Nell’epoca Edo esistevano diverse scuole di falegnameria, ciascuna ben distinta dalle altre. Il sukiya-daiku era colui che costruiva le abitazioni e le case da Tè. Costui, secondo le regole dell’ideale estetico del wabi-sabi, edificava strutture rustiche e leggiadre al tempo stesso, che con la loro apparente modestia potessero evocare la transitorietà del mondo materiale. Il miyadaiku, architetto prototìpico di allora, si dedicava ai grandi templi delle città di Kyoto, Edo ed Osaka, magistralmente assemblati tramite l’applicazione di particolari tecniche ad incastro, colonnati e complesse considerazioni ingegneristiche. Tali strutture sono tra i più antichi edifici lignei ancora utilizzati quotidianamente.
Il sashimono-shi, dal canto suo, costruiva l’oggettistica e gli arredi. I suoi strumenti erano, sono tre: lo scalpello nomi, la sega a mano nokogiri e la kanna, o pialla per livellare. Questa, a differenza della controparte occidentale, non viene spinta in avanti, ma trainata verso l’utilizzatore. Si tratta di un blocco di legno forato, con un lato interno obliquo, su cui viene assicurata con un perno un’affilata lama. La superficie su cui poggia non è piana, ma convessa. La sua costruzione, apparentemente semplice, può trarre in inganno: non solo usarla, ma pure realizzarla, richiede un certo grado di sapienza metallurgica.
Come per la spada giapponese, il filo tagliente della kanna risultava da un’amalgama di due tipi di acciaio, duro e morbido, saldati e ripiegati su stessi. Simili strumenti rappresentavano l’orgoglio dei loro proprietari, insieme al segreto della tecnica decorativa yosegi-zaiku. Non è insolito che una kanna di alto livello, con il marchio di un famoso produttore, valga ancor più delle creazioni realizzate grazie ad essa. A meno che queste ultime non siano delle scatole del genere himitsu bako, ovvero con apertura segreta. Tale categoria d’oggetto, amata in tutto il mondo, rilevante per la cultura americana e comparsa anche in un episodio della sit-com Big Bang Theorycostituisce la realizzazione di un’imprescindibile ideale: nascondere una monetina, o altre cose, alla perfezione. Soltanto con dozzine di manovre, facendo scivolare a lato molteplici pannelli e altre mistiche diavolerie, si potrà giungere all’interno del contenitore.
Naturalmente, pure il modo usato in TV potrebbe funzionare. Ci sarà un motivo, se le vere casseforti non le fanno in legno.

Yosegi 2

Himitsu-bako
“Super-Cubi” è il non-plus-ultra delle himitsu-bako. Giungere al suo interno richiede 324 passaggi, senza alcuna possibilità d’errore. Il suo proprietario, a beneficio di chi non ci credeva, ha gentilmente pubblicato online la soluzione.

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